mercoledì 29 aprile 2009

Antipolitica/quinta parte


Medici in camice bianco. Cliniche di fama internazionale. Luminari, assistenti, dottori, laureandi. E poi giù fino a santoni, guaritori, streghe e fattucchiere, telepredicatori, preti e vescovi. Tutti a indovinare la causa del nuovo morbo, che aveva fatto fuori un importante politico e un ricco industriale. Ognuno con la propria ricetta, ognuno con la propria diagnosi, ognuno convinto della propria assoluta ragione. Il Parlamento convocò tutti in massa, elargì a ognuno un generoso compenso per la consulenza, sentì tutti, e poi li rimandò a casa, senza avere neanche la minima idea di quelle che realmente era successo. Si sapeva solo che uno del Parlamento era morto, e questo era un problema gravissimo, e che un sacco di altri soldi se ne erano andati per tutte quelle consulenze, e questo era meno grave, perché non si era mai capito chi pagava realmente i conti del Parlamento, ma di certo a nessuno gliene fregava un accidente.
Il Presidente del Consiglio si presentò in aula, per rispondere a un’interrogazione dell’Opposizione Compiacente. Tema, neanche a dirlo, la morte delle due importanti personalità. Il Presidente si era preparato un discorso fenomenale, che aveva intenzione di collocare quale punta di diamante nel libro delle sue memorie, di prossima uscita. Del resto, il Presidente era un oratore eccezionale, di pregevolissima abilità, abituato a riscuotere entusiasmi e ovazioni. La sapienza oratoria era una caratteristica fondamentale per avere successo in Parlamento, e l’ultima ambiziosa legge elettorale aveva finalmente riconosciuto l’intrinseca importanza del saper parlare. Dopo lunghe discussione su quale modello adottare, i parlamentari si erano accordati su un criterio semplice, infallibile, imparziale e inattaccabile. Uguale per tutti. Gli schieramenti politici, dopo centinaia di anni di aspre e dannose divisioni, finalmente non avevano più senso, né necessità. Una grande evoluzione per la politica italiana. Semplicemente, in Parlamento si entrava sulla base di una prova scritta. E non c’erano nepotismo o raccomandazioni o spintarelle che tenessero. Solo il punteggio nudo e crudo faceva classifica, e solo i primi cinquecento entravano in Parlamento. E il primo in assoluto diveniva Primo Ministro, e i primi quindici si giocavano Ministeri e Sottosegretari all’annuale Lotteria. Un sistema democratico e pulito, da far invidia a qualsiasi Ateniese. Si doveva semplicemente sostenere la prova scritta, uguale anno dopo anno. Il tema infatti era fisso: Il Nulla Assoluto. Chi riempiva più pagine sul Nulla Assoluto, prendeva più punti. Ogni pagina, dieci punti. Ogni parola più lunga di quindici lettere, altri dieci punti. Ogni termine sconosciuto a un liceale, cinque punti. Ogni costruzione complessa, ogni frase laboriosa, ogni passaggio poco chiaro, cinque punti. Badate bene, la prova era semplice solo in apparenza, poiché era arduo rimanere rigorosamente in tema per molte pagine consecutive. Dopo un po’, anche i più brillanti candidati rimanevano a corto di vocaboli, e invece di parlare del Nulla Assoluto iniziavano a metterci in mezzo altri argomenti, scrivevano qualcosa, e venivano di conseguenza squalificati. E invece il Presidente era il maestro indiscusso in materia. Un artista della parola. Un virtuoso dell’intreccio. La sua prova, che lo aveva consacrato Primo Ministro, era un vero e proprio trionfo di arte retorica. Il suo tema, per giudizio unanime, era il più gonfio, il più pomposo trattato sul Nulla Assoluto mai scritto prima. Quarantasei cartelle fitte fitte, senza mai tirare in mezzo un solo argomento, di più, neanche l’ombra di un qualsiasi spunto. Quarantasei cartelle, e nessuno che lo aveva letto ci aveva capito una sola parola, ma a tutti era sembrato bellissimo. Era un Presidente molto amato.

Da quanto durava il discorso? Un’ora, un’ora e mezza, forse due. Cartelle dattiloscritte si ammonticchiavano sulla destra del Presidente. Un altrettanto imponente cumulo di cartelle dattiloscritte aspettava sulla sinistra. Il Presidente si schiarì la voce, prese un sorso d’acqua. Sorrise. Sapeva che quel discorso avrebbe ammaliato i colleghi della Maggioranza Paludata e perfino quelli dell’Opposizione Compiacente. Il popolo se ne sarebbe innamorato, e avrebbe rinnovato, come sempre, il suo plebiscito d’ammirazione e di affetto. I giornalisti, anzi, il giornalista sorteggiato avrebbe riempito intere pagine di appunti, e tutti i giornali avrebbero lodato una volta di più il suo acume politico, la sua visione chiara dei problemi, la sua grande dialettica, la sua profonda conoscenza del Nulla Assoluto. Posò il bicchiere con gesto teatrale. Con un unico profondo sguardo ammaliò la platea. Aspettò che gli occhi di tutti si puntassero nuovamente su di lui. Fece il suo movimento con le mani preferito, quello che a prima vista sembrava un semplice gesto di nervosismo, come se stesse cercando di liberarsi dalla tensione agitando le dita. In realtà, quel gesto serviva proprio a dare una patina di umanità a una figura che altrimenti sarebbe stata troppo potente, lo rendeva ancora più grande proprio per quella sua debolezza, lo faceva ancora più superiore proprio con la messa in mostra di possibili, remote debolezze. Essere umano lo rendeva ancora più chiaramente Dio, come Cristo a suo tempo aveva insegnato. E del resto, Cristo era uno dei suoi argomenti preferiti, dopo il Nulla Assoluto, naturalmente. Compì con la lentezza dovuta il rituale gesto delle mani. Distese il viso nella tradizionale espressione preoccupata ma efficiente. Solo quell’espressione, si era calcolato, aveva fruttato tra un milione e un milione e mezzo di voti.
La sua espressione cambiò in un istante. Come il suo colorito. Come i gesti delle sue mani. Iniziò a tremare e muoversi come un epilettico. Un epilettico verde, per giunta.
Sandro

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