martedì 28 aprile 2009

Antipolitica/quarta parte


Mentre di buon mattino leggeva il giornale, il signor De Benedettis, titolare di un’importante catena di ristoranti fast food, faceva colazione, e scorgeva rapidamente le pagine. Era rimasto molto colpito dalla morte del Ministro, un buon amico, e un buon politico. Il Paese aveva perduto un valido funzionario, lui aveva perso un caro amico, sua moglie un caldo amante, e i suoi affari erano rimasti sprovvisti di un affidabile referente con la ‘ndrangheta, partner commerciale molto importante per gli affari del De Benedettis. In poche parole, una vera tragedia. Ma la vita andava avanti, come sempre doveva fare, e come sempre avrebbe fatto. La moglie avrebbe trovato altri amanti, e lui altri amici. Uscì, salutò la dolce metà, salì sull’elegante auto con i vetri oscurati. Salutò l’autista. Scambiò con lui quattro parole, le stesse di ogni mattina. Entro venti minuti sarebbe stato al lavoro. Aveva finalmente trovato un metodo infallibile per abbattere radicalmente i costi, e per fregare la spietata concorrenza cinese e indiana. Era inutile puntare tutto sul buon prezzo della carne. Aveva provato con i gatti, i cani, i topi e persino gli scoiattoli dei parchi, ma senza successo: gli hamburger della concorrenza costavano sempre meno ed erano pure più saporiti. Aveva sfogliato per settimane la sua enciclopedia degli animali per trovare una soluzione, ma era stato tutto inutile. Il giorno prima, però, aveva finalmente avuto una buona idea. Geniale, nella sua semplicità. Le discariche erano la soluzione. Bastava farsene dare in gestione una decina. Scandagliare tutti i rifiuti. Rintracciare tutti gli elementi organici. Bollirli in un enorme pentolone, condirli con disinfettante, Napisan Plus e qualche zucchina e qualche buona carota, e con tanta cipolla, ed ecco fatto. La zuppa De Benedettis avrebbe riempito il mercato. Un prezzo imbattibile, e un gusto sicuramente unico. Per di più, un’opera meritoria, che risolveva in maniera radicale il problema dei rifiuti. E tutto questo senza dover licenziare un solo dipendente. Bastava riadattare gli operai delle fabbriche di fast food in operatori ecologici, e tutti contenti. De Benedettis era soddisfattissimo della sua idea. Avrebbe avuto il plauso del sindaco, e il favore del mercato. Mentre sul suo viso si dipingeva un sorriso sempre più largo, De Benedettis sentì una fitta allo stomaco. Un dolore acuto, incontrollabile. Brividi presero a percorrerlo. Tremava. L’autista si rese conto che qualcosa non andava solo quando sentì un catastrofico rumore provenire dal retro, e abbassò il finestrino oscurato che lo divideva dal facoltoso principale. Ma subito lo tirò su di nuovo, e in fretta, poiché una puzza pestilenziale aveva contagiato tutta la macchina. Accostò, reprimendo a fatica i conati di vomito. Scese, si avvicinò allo sportello del passeggero, raccolse un profondo respiro e tutto il suo coraggio, e aprì la portiera. Un corpo rotolò ai suoi piedi. Un corpo esile, sottile, asciutto e tirato come un elastico. Sembrava impossibile che avesse mai potuto contenere del sangue e degli organi. Il corpo era completamente, scusate la volgarità, ricoperto di merda. Era diventato praticamente anch’esso parte della poltiglia marrone e disgustosa che aveva riempito lo schienale posteriore. Solo la faccia aveva un altro colore, e non era stata colpita da qualche goccia fuori controllo dell’orribile liquame. Il signor De Benedettis aveva la faccia completamente verde. E, inutile a dirsi, era morto.
Sandro

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