
I venti politici sopravvissuti, per dimostrare a se stessi e al mondo che c’era un motivo dietro alla loro resistenza intestinale altrimenti inspiegabile, si riunirono a casa del più autorevole di loro, e stabilirono con assoluta convinzione, in totale buona fede, che Dio aveva risparmiato proprio loro perché erano stati prescelti da Dio per rifondare il sistema politico nazionale corrotto. Sul sistema politico nazionale corrotto erano tutti d’accordo. Però quattro dei venti politici erano atei irriducibili, e non accettavano il riferimento alle motivazioni divine, suggerendo piuttosto una migliore capacità antibiotica. Comunque i venti decisero che non dovevano dividersi su questioni così futili, e si accordarono così: i sedici sostenitori della preselezione divina avrebbero fatto il governo, e i quattro della super-capacità antibiotica sarebbero stati all’opposizione, che comunque ci voleva. Poi uscirono fuori per portare il loro verbo al popolo. Rubarono un vecchio camioncino al rivenditore d’auto più disonesto della capitale, che era stato tra i primi a defecare l’ultima diarrea. Montarono sopra un altoparlante, tipo quello degli arrotini. Rimediarono un microfono, e iniziarono a fare i loro giri, come un circo scassato e raccogliticcio che improvvisasse una pubblicità strada per strada. A turno parlarono tutti, nuovo governo e nuova opposizione, e dissero quello che veniva loro in mente, che loro rimanevano legittimi rappresentanti del popolo sovrano, che Dio, o una super-capacità antibiotica, li aveva risparmiati, che al Paese servivano cure drastiche a cui loro avrebbero pensato, con l’aiuto del popolo. Ma nessuno li ascoltava, in quel delirio di merda e corpi e morti tutti pensavano a salvarsi, o a salvare i propri cari. I venti politici alzarono il tono della voce, divennero apocalittici, divennero rassicuranti, minacciarono e promisero, ma niente. Il popolo era impazzito, la gente urlava per le strade, la situazione andava fuori controllo sempre di più.
Il più autorevole dei venti ebbe una pensata fulminante. Una pensata che forse gli avrebbe assicurato un giorno la poltrona di Primo Ministro, se il loro fosse mai diventato un governo vero.
I cittadini erano terrorizzati, non ascoltavano, non sentivano, non ragionavano e non parlavano.
In mancanza totale di tutti gli altri sensi, c’era bisogno che vedessero, per credere.
Un terzo dei cittadini italiani lasciò il proprio corpo mortale in quel giorno. Una pestilenziale punizione divina da Vecchio Testamento, che in Europa non si vedeva più dal quattrodicesimo secolo. Neanche le bestie volevano toccare quei corpi. Né, tantomeno, i pochi spazzini comunali abili e arruolati. Rimasero quindi lì, all’aperto, senza che nessuno trovasse il coraggio di rimuoverli. Vivi e morti convivevano, o forse conmorivano, negli stessi spazi, nelle stesse case, per le stesse strade.
Maghi, indovini e santoni entrarono in crisi. Quando le catastrofi e le morti tanto annunciate arrivarono davvero, gli stregoni si ritirarono, silenziosi e senza idee. L’improvvisa peste verde colse di sorpresa praticamente tutti quelli che per mestiere predicevano disgrazie. Muti o balbettanti, vennero presero d’assalto da un incredibile afflusso di clienti, pronti a sborsare qualunque cifra pur di ricevere la salvezza. Ma i maghi non erano abituati a discutere di cose così precise e così evidenti. E ad essere smentiti così, sull’attimo. Un mago con un grande turbante rosso aveva accumulato milioni in poche ore smerciando acqua, zucchero, succo di limone e colorante blu in raffinate bottigliette anch’esse azzurre. Il misterioso liquido era andato a ruba. Quando però i primi cinquanta clienti morirono di peste verde, sotto gli occhi degli altri avventori, per di più con la lingua blu, oltre alla consueta faccia verdastra, il resto dei clienti in coda si sentì piuttosto truffato, e anche abbastanza arrabbiato. Il mago fu costretto a mangiarsi il turbante e a bersi tutto il colorante, ma non se ne fece una gran preoccupazione, perché prima del morso iniziale, un provvidenziale e fulminante attacco di peste verde lo colpì, sottraendolo alla furia dei miracolati delusi. Evidentemente, la folla aveva iniziato a mordere. Il Ministero della Sanità per gli Abbienti fu messo a fuoco e fiamme, letteralmente: migliaia di cittadini folli e ciechi lo assaltarono, accumularono scrivanie e scartoffie e mobili nell’ingresso, rovesciarono intere pompe di benzina e diedero fuoco. L’incendio fu spettacolare.
La folla rimase molto soddisfatta dall’effetto del fuoco che lambiva gli eleganti palazzi marmorei. Stabilì che aveva trovato la soluzione a tutti i mali, e si diresse verso altri luoghi del potere, che potevano più o meno avere a che fare con l’epidemia. Era uno spettacolo d’altri tempi: forconi e torce alla mano, i servi della gleba si apprestavano a bruciare il signorotto di campagna che aveva esagerato con le malefatte.
Il più autorevole dei venti politici vide il fuoco, vide la massa infuriata, vide i corpi ammassati e abbandonati. Era ancora insieme agli altri diciannove, ed è una cosa piuttosto scontata, poiché i politici nei momenti di crisi tendono sempre a riunirsi tra loro.
Già aveva avuto la pensata, e lo spettacolo gli disse chiaramente che aveva visto giusto, che nei cuori c’era paura in abbondanza, e la paura è la moneta che ha più valore nel mercato politico. Fatti pagare in paura, guadagnerai in potere. Era un traffico che si faceva da sempre e non era mai in perdita. Il più abile dei venti parlò agli altri. Disse loro che l’occasione era storica, che i pericoli erano molti, che soltanto i più coraggiosi e disinteressati potevano affrontare folle inferocite e domarle. Di più, conquistarle. Di più ancora, lusingarle, farle innamorare, esaltarle e portarle all’amore assoluto. Di più, farsi incoronare con pieni poteri. Spiegò il piano. Predisse che la nuova maggioranza e la nuova opposizione insieme potevano salvare l’Italia. Che bastavano, in realtà, venti teche di vetro, che si potevano procurare in qualsiasi negozio del settore, o, per fare una cosa più elegante, in qualsiasi gioielleria ben fornita. I diciannove, opposizione e maggioranza perfettamente concordi, iniziarono a perlustrare la città per soddisfare il nuovo improvvisato capo. Videro decine di fuochi. Centinaia di corpi. Atroce confusione, immani disastri e puzza di cadaveri. Finalmente videro anche venti teche di vetro, perfette per scopi e dimensioni, e anche di bell’aspetto, e ne fecero incetta. Rilasciarono al negoziante i buoni di un qualche Ministero, e il negoziante era così disperato per la morte dei figli e della moglie che arrivò persino ad accettare senza protestare.
Sandro
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