La New York University di Firenze ha bisogno di un fotografo per i concerti jazz della scuola.
Ci chiamano. Andiamo.
La scuola si trova in uno dei luoghi più belli di Firenze, un enorme giardino all’italiana dominato dalla villa del XIV secolo, villa La Pietra.
Il cancello di ferro si apre davanti alla mia peugeot scarcassata e scolorita, che stenta a ripartire sulla salita del lungo viale di cipressi.
La vista si spande sul parco di ulivi, c’è da commuoversi e innamorarsi.
Andiamo ad assistere alla lezione di un violoncellista olandese. Ultima tappa della sua tournè italiana dopo Venezia, Padova, Ancona, Pescara.
Ernst Reijseger: mai sentito, dicono che sia bravo.
Come previsto l’atmosfera è formale.
L’olandese accetta la presentazione del direttore e gli applausi dei ragazzi.
Poi si siede e suona.
Incredibile, semplicemente incredibile quello che fa per un’ora e un quarto.
Emette melodie comunque decida di percuotere quel violoncello. Lo pizzica, lo sbatte, lo percuote, lo struscia, con l’arco e con le mani. Si interrompe, fa stridere il sellino sotto le sue membra, riprende il violoncello, adesso come se fosse una chitarra da cui produrre del buon country. È musica e suono in ogni movimento, in ogni interazione tra il musicista e il suo strumento.
Sento un incontrollabile impulso ad applaudire, devo incastrare le mani fra le mie gambe per impedirmelo.
Anche gli americani solo ora si rendono conto di chi hanno di fronte e sono attoniti.
L’olandese va avanti, si ciuccia gli indici, li struscia sul legno della cassa armonica, va a tempo con le corde che libere vibrano in aria.
Si alza a occhi chiusi e vaga per le stanze a cercare migliori acustiche, con il suo strumento sospeso sul collo. Non lo vediamo più, sentiamo solo il suo suono, a volte più forte, poi più tenue.
Ernst urla, canta, prova, improvvisa, sperimenta. Poi torna da noi. Suona.
Ha una morbidezza nel corpo, una libertà nelle espressioni del volto, un sereno lasciarsi andare nei movimenti che solo la creatività gli consente.
Si gode il battere delle mani che finalmente possono ringraziarlo delle emozioni e fa un discorso su come gli studenti debbano liberarsi dai limiti della noia, della ripetizione, delle scali sonore che coatte si assomigliano. Liberarsi dagli insegnamenti piatti, dagli insegnanti piatti (“yours teachers are yuor limit”, chissà se voleva citare i Pink Floyd).
Parla di ritmica: studiarla, osarla, rispettarla, conoscerla, sperimentarla, appiattirla, rovinarla, ricrearla.
Ancora applausi.
Gli studenti ringraziano, annuiscono, ridono.
Gli insegnanti, in evidente imbarazzo, sono segretamente commossi; se solo qualcuno gli avesse impedito di diventare frustrati dalla noia.
Ernst sorride sereno, ammiccando alla compagna, prima fra tutti i suoi ammiratori.
Lei mora, risponde complice, quasi a dire che tutti in quella sala sono innamorati di lui.
A noi permette di fotografarlo nel giardino, fra gli ulivi, mentre solleva con un dito il suo violoncello vecchio di trentanni.
Beviamo vino rosso nel parco, fra uno scatto e l’altro.
Ci piace pensare di aver incontrato un Picasso della musica.
Ci piace pensare di aver assistito all’esibizione di uno stiloso dissacrante delle convenzioni e del vecchio.
Sarà un piacere domani sera vederci per un bicchiere di vino alla Citè, accompagnarlo fra i ponti di Firenze e farsi mostrare le sue foto alle balene.
La fotografia è il suo hobby.
La musica la sua droga eccitante.
foto: Antonio Angelucci
http://www.youtube.com/watch?v=-n5tQ70lkB4
tanti punti, troppa polemica. poco vino rosso e poco profumo di primavera
RispondiEliminaReijseger lo conoscevo da un po', mi pare di ricordare di averlo sentito insieme ad un cantante senegalese. Ma forse mi sbaglio. Problemi di memoria. Comunque bellissimo leggere di un violoncellista in questi termini. Grazie.
RispondiEliminaAndrea